Pubblichiamo l’interessante relazione dell’avv. Roberto Arcella, componente del GdL FIIF, tenuta presso la Scuola Superiore della Magistratura ieri 3 Aprile 2017. Nel lavoro si pone in risalto l’evoluzione che l’informatica giuridica negli ultimi anni: da disciplina che utilizza i calcolatori elettronici in campo giuridico (si pensi all’uso dell’ipertesto ed alle prime applicazioni di raccolta di banca dati di giurisprudenza), essa si è infatti trasformata in una vera e propria branca del diritto.
Nel diritto dell’informatica, il concetto di documento informatico è assolutamente centrale, costituendo esso il trait d’union tra l’informatica pura ed il diritto. Il “file” è documento a condizione che esso abbia un contenuto rappresentativo e che sia conforme alle regole tecniche ex art. 71 CAD. Sulla nozione di documento informatico si inserisce quella comunitaria di documento elettronico, contenuta nell’art. 3 del Reg. 910/2014: si esaminano nella relazione le differenze concettuali tra le due definizioni. Si valuta inoltre la portata del rivoluzionario principio di “non discriminazione” dei documenti elettronici, si passano in rassegna le modalità di formazione dei documenti, finalizzate queste ultime alla conservazione documentale che, a sua volta, interseca piani disciplinari comuni alla tutela della riservatezza dei dati: l’ormai irreversibile processo di digitalizzazione dell’organizzazione, avviatosi per la P.A., esteso prepontentemente alla Giustizia grazie al DL 179/12 e destinato infine ad un’applicazione presto o tardi generalizzata a tutti i consociati, non può prescindere da una consapevole e corretta formazione e gestione documentale che sia ‘ab imis’ “elettronica”. Lo sfruttamento delle potenzialità del digitale, a beneficio di settori vitali per il nostro Paese (dall’amministrazione digitale, in funzione della quale nacque il CAD, al processo civile ed amministrativo telematico, al piani per la salute digitale e per la scuola digitale), presuppone la disponibilità di documenti intesi anche come flussi di dati, e non solo come testo leggibile dall’occhio umano grazie ad apparati informatici: tanto, ai fini dello scambio di informazioni, dell’interoperabilità dei sistemi e della cooperazione applicativa di cui all’art. 1, lett ee) C.A.D.
Tra i soggetti obbligati alla conservazione si annovera certamente anche il Ministero della Giustizia: lo scritto contiene una rassegna delle criticità connesse a tale profilo operativo del processo telematico, con una proposta di adattamento delle regole tecniche sulla conservazione, di cui al dpcm 3.12.2013, alla struttura del PCT.
Scarica qui il pdf della Relazione dell’Avv. Roberto Arcella